Da quando ha iniziato a entrare nelle nostre case, e per molto tempo, internet è stato considerato cosa del tutto separata dalla nostra vita. Si guardava alla rete come a uno strumento utile e dalle grandi potenzialità – per lavorare, studiare, conoscere realtà e mondi fisicamente lontani; ma era pur sempre uno strumento, da spegnere una volta terminato l’utilizzo.

Oggi il ruolo del web è profondamente cambiato. Quando è avvenuto? Quando il fenomeno della nascita e dell’espansione delle piattaforme social ha incontrato quello della diffusione massiva dello smartphone. Questo incontro ha scatenato una vera e propria rivoluzione digitale, che ci ha portati ad essere sempre connessi alla rete.

Così, da strumento, il web è diventato un vero e proprio luogo, in cui avvengono fatti e si formano relazioni, in cui i cittadini si aggregano; oggi su network come Facebook e Twitter nascono addirittura decisioni politiche e si manifesta il consenso o il dissenso elettorale. Insomma, internet non è più una “cosa”: è necessario parlare di ambiente digitale.

 

Ambiente che vai, linguaggio – e relazioni – che trovi

L’aspetto più entusiasmante dell’ambiente digitale è la sua capacità di facilitare le relazioni: non solo è possibile restare in contatto con parenti, amici, conoscenti che vivono in altre parti del Paese o del mondo, ma consente anche di entrare in contatto con un elevatissimo numero di persone. Una delle prime conseguenze di questa possibilità emerge sul piano sentimentale: ad esempio, negli Stati Uniti più di un terzo dei matrimoni è nato da un incontro online. E la maggior parte sono interrazziali, cioè al di fuori della cerchia di conoscenze tradizionali del proprio gruppo di appartenenza e della propria famiglia.

Tuttavia, l’iperconnessione crea anche non poche distorsioni nella qualità delle relazioni stesse. In primo luogo, il poter essere sempre connessi ha reso la nostra quotidianità sempre più veloce e sempre più avvezza a meccanismi di soddisfazione immediata, su tutti a quello del like: più ne otteniamo, più ci sentiamo gratificati. Quando vediamo un “mi piace” sotto un nostro post di Facebook o a una foto su Instagram, il nostro cervello produce dopamina, proprio come avviene durante il rapporto sessuale, il dopo un lauto pranzo o dopo l’assunzione di cocaina o anfetamine.

Il desiderio di ottenere l’altrui apprezzamento, di esserci sempre e ovunque trasforma spesso le interazioni in una corsa contro il tempo, disabituando le persone a rispettare i tempi necessari alle relazioni per maturare e ad esprimere sentimenti ed emozioni complessi e non identificabili con un emoji o una gif.

Un’altra importante distorsione riguarda il gap esistente tra la reale portata delle azioni che avvengono nell’ambiente digitale e la nostra percezione, ancora molto condizionata dalla vecchia equazione virtuale = non reale. Spesso, cioè, pensiamo e ci comportiamo come se il web fosse un non-luogo, una sorta di realtà fittizia in cui ogni comportamento è lecito. Ad alimentare questa percezione concorre il fatto che tutte le interazioni avvengono dietro il comodo e protettivo schermo del pc o dello smartphone. Condividiamo, parliamo, discutiamo, magari insultiamo o minacciamo; ma il fatto di fare tutte queste cose da dietro uno schermo ci dà la sensazione di non averci messo davvero la faccia, di essere protetti.

Questi meccanismi, uniti all’assenza del linguaggio non verbale e dell’intonazione della voce – che costituiscono una parte fondamentale della comunicazione umana – fanno sì che i nostri freni inibitori funzionino molto meno quando siamo sul web e che diventiamo molto più aggressivi e meno empatici nel rapporto con l’altro, quando questo è virtuale. Tanto ehi, non l’abbiamo mica fatto davvero eh?!

Invece le nostre azioni virtuali hanno conseguenze reali su di noi e sui nostri interlocutori: si pensi, ad esempio, al fenomeno del cyberbullismo, che spesso e volentieri miete vittime soprattutto tra i giovanissimi.

 

Ambiente digitale e nativi digitali

Digitali non si nasce, si diventa. E’ vero, le nuove generazioni – soprattutto i nati dal 2000 in poi – sono nate e crescono a strettissimo contatto con questo ambiente, tanto che per loro è stato coniato il nome di “nativi digitali”. Questo ha diffuso, tra adulti e genitori, l’idea che i nuovi giovani siano naturalmente predisposti alla navigazione in rete. Niente di più falso!

Se è vero che gli adolescenti di oggi sono immersi nella cultura del digitale sin dall’infanzia e possono quindi usare pc e smartphone con più naturalezza, questo non comporta che siano in grado di muoversi in sicurezza nella rete, che sappiano evitarne i pericoli, né che siamo immuni alle storture relazionali di cui abbiamo parlato. Anzi, in quanto giovani trovano molta più difficoltà nel gestire la propria identità virtuale con consapevolezza.

 

Consapevolezza is the way!

Quindi chiudiamo tutti gli account e torniamo ai tempi delle enciclopedie su CD Rom?

L’ambiente digitale non è di per sé malvagio, quindi possiamo risparmiarci soluzioni drastiche (e SI, vietare internet a tuo figlio quindicenne rientra a pieno titolo tra le soluzioni drastiche). La rete nasconde certamente delle insidie e certamente sta modificando la nostra vita in modi imprevedibili; ma se utilizzata in modo corretto è anche una fonte inesauribile di conoscenza, stimoli positivi e opportunità, nonché un potente strumento educativo, a casa come a scuola.

Come dice il saggio, la strada giusta si trova nel mezzo: dobbiamo imparare a conoscere l’ambiente digitale e a viverlo con consapevolezza; dobbiamo imparare ad accompagnare, con questo spirito, le nuove generazioni alla scoperta della rete.