No-mobile-phone Phobia, ovvero la paura di non avere accesso alla propria rete mobile. Il termine è stato coniato nel 2008 da uno studio condotto su un campione di 2.163 persone e commissionato da Post Office Ltd all’ente di ricerca britanico YouGov: in quell’occasione la ricerca rilevò che in Gran Bretagna il 53% dei possessori di uno smartphone manifestava stati d’ansia quando non poteva usarlo (ad esempio a causa della batteria scarica, del credito esaurito della scarsa copertura di rete). Secondo i dati Audiweb, nel 2017 l’internet audience ha raggiunto 24,2 milioni di utenti unici nel giorno medio, da diversi dispositivi, numero che tra l’altro registra una crescita dell’8,7% rispetto alla media dell’anno precedente. Gli italiani, in particolare, si sono collegati per circa 2 ore e 22 minuti al giorno, con una preferenza per l’accesso da mobile. La nomofobia è uno dei più subdoli disturbi nati con l’era digitale: lo smartphone è ormai diventato parte integrante delle nostre vite, sia nel privato che sul lavoro; il progresso tecnologico ci mette a disposizione apparecchi in grado di svolgere sempre più attività, dandoci sempre più spunti – e scuse – per passare con loro la gran parte del nostro tempo, con il rischio di trasformare lo strumento tecnologico nell’oggetto della nostra ossessione.

I comportamenti che caratterizzano la nomofobia sono:

  • L’uso regolare del telefono cellulare ed il trascorrere molto tempo su di esso;
  • l’avere sempre con sé uno o più dispositivi ed il caricabatterie, per evitare di restare senza batteria;
  • il mantenere sempre il credito;
  • l’esperire vissuti di ansia e nervosismo al solo pensiero di perdere il proprio portatile o quando il telefono cellulare non è disponibile o non utilizzabile;
  • il monitoraggio costante dello schermo del telefono, per vedere se sono stati ricevuti messaggi o chiamate, o della batteria, per controllare se il telefono è scarico;
  • il mantenere il telefono cellulare acceso sempre (24 ore al giorno);
  • l’andare a dormire con cellulare o tablet a letto;
  • l’uso dello smartphone in posti poco pertinenti.
  • il credere di avvertire, con grande frequenza, notifiche inesistenti provenienti dal proprio cellulare (cd. ringxiety)

Certo, alcuni di questi comportamenti sono divenuti piuttosto comuni nell’era del digitale: ad esempio, è prassi per molti di noi assicurarci di poter avere accesso al telefonino durante tutta la giornata, specialmente se ci aspettiamo di passare molto tempo fuori casa per svariati motivi. Quando il rapporto con il telefono diventa patologico, però, questi comportamenti si trasformano in impulsi irrefrenabili, che incidono in modo negativo sulla qualità della vita della persona che ne è affetta.

Perché il web ci appassiona così tanto?

Essere connessi a internet trasmette un senso sicurezza perché assicura comunicazione, raggiungibilità, visibilità, presenza in ogni momento e permanenza della testimonianza di sé. Inoltre, molte attività che possiamo svolgere attraverso lo smartphone hanno sulla nostra mente un effetto di gratificazione, perché generano il rilascio di dopamina (abbiamo già affrontato questo argomento qui): questo ci porta, a volte, a entrare in una sorta di trance, durante la quale continuiamo a ripetere la stessa attività, come controllare le notifiche delle diverse applicazioni. Gli esperti chiamano questo fenomeno “ciclo ludico”: quando ci “svegliamo” possono essere passati anche diversi minuti.

Tutto questo è vero soprattutto tra gli adolescenti, che avvertono in modo particolare il bisogno di sentirsi parte di un gruppo e trovare modelli in cui identificarsi.  Un’indagine svolta nel 2016 in Italia da SOS telefono azzurro,su un campione di 600 ragazzi di età compresa tra i 12 ed i 18 anni, ha evidenziato che il 17% degli intervistati dichiarava di non sapersi separare dal proprio smartphone. Il 78% del campione ha inoltre raccontato di chattare in modo praticamente continuato, mentre Il 21% ha ammesso di alzarsi di notte per controllare eventuali messaggi sui social network.

Nell’evoluzione del rapporto tra l’uomo e lo smartphone si ha strada, inoltre, la dipendenza legata a singole app. In particolare, va diffondendosi l’abitudine ad un rapporto malsano con le applicazioni di messaggistica istantanea più diffuse e utilizzate sui telefoni cellulari, come Whatsapp e Telegram.

La messaggistica istantanea ha segnato una rivoluzione nelle modalità di comunicazione tra le persone, rendendola molto più semplice e veloce; ma porta con sé anche alcune insidie, perché innesca dinamiche che a loro volta favoriscono e amplificano l’assuefazione alla connessione ininterrotta con la rete e i propri contatti, che sta alla base dei comportamenti nomofobici.

I meccanismi da tenere sotto controllo

In primo luogo, l’applicazione può trasformarsi in uno strumento di controllo: anzitutto, perché permette di verificare se i messaggi che mandiamo sono arrivati e se sono stati letti (ad esempio attraverso le famose spunte blu di Whatsapp); inoltre, per ogni nostro contatto possiamo verificare se è in linea o fino a che ora lo è stato, se è disponibile o meno, quando ha fatto accesso alla rete l’ultima volta. Queste funzioni, di per sé molto utili, possono esasperare sentimenti come gelosia e ossessività in chi ha la tendenza a ipercontrollare: in questo modo è infatti possibile verificare costantemente gli ingressi degli amici più stretti, se il proprio partner è online, se il suo ultimo accesso è coerente con l’attività che sta svolgendo, rischiando di scatenare veri e propri comportamenti ossessivi.

In secondo luogo, abituarsi a relazionarsi con gli altri da dietro uno schermo comporta il modificarsi delle dinamiche della comunicazione stessa: si rischia di perdere – o non sviluppare – l’empatia che caratterizza i normali rapporti umani, ovvero la capacità di ascoltare e comprendere gli stati d’animo e le esigenze altrui. L’altra faccia di questa situazione è data dalla maggiore difficoltà di comprensione dei messaggi scritti: in questi, infatti, mancano del tutto la componente mimica, l’intonazione della voce, condizione che presta il fianco al generarsi di incomprensioni relazionali.

Il terzo rischio generato dalla messaggistica istantanea è la distruzione dell’attesa: le comunicazioni, di qualsiasi tipo, avvengono in tempo reale e i messaggi sono equiparati alla conversazione vis-à-vis. In un mondo caratterizzato da una tale velocità di comunicazione, l’attesa perde il suo significato di aspettativa e diventa una fonte di ansia, che si accompagna alla percezione di non essere ascoltati o di essere esclusi. Sensazioni negative che possono incidere in modo significativo, soprattutto sui giovani in età adolescenziale.

Infine, riprendiamo i dati esposti in apertura: quasi l’80% dei giovani chatta in modo continuativo. Lo fa anche – e soprattutto – a tarda sera, quando è possibile un minor controllo da parte dei genitori e ci si sente più liberi. L’uso del cellulare prima di andare a dormire, però, può incidere sulla qualità del sonno e sulla sua durata, a causa delle onde elettromagnetiche che l’apparecchio emette. E’ dimostrato che l’utilizzo del telefono prima di addormentarsi fa sì che il suo proprietario impieghi più tempo ad entrare nella fase di sonno profondo, e che ci resti meno. Le conseguenze della mancanza di sonno o, in generale, di una sua minore durata sono poca concentrazione, nervosismo, basso rendimento scolastico o lavorativo sino in casi estremi alla depressione; conseguenze del fatto che l’individuo non riesce a recuperare in maniera soddisfacente le energie spese durante la giornata.